Cartolina da: Berlin (di Andrea Frasca Caccia)
luglio 2015
Il mio progetto Leonardo a Berlino
Avete presente quella bella e felice sensazione che si ha quando, dopo aver preso la laurea, ci si ritrova in Germania a parlare tedesco come se dentro se stessi ci fossero la Merkel e Ratzinger che dicono tutti gli “Zungenbrecher” e tutti applaudano come durante la cerimonia degli Oscar?
Bene! Ora immaginate la scena di arrivare all’aeroporto e alla dogana chiedono semplicemente di esibire un “Ausweis” e la sola cosa che viene in mente è un “Wie bitte?!?” parlato come quando ti svegli la mattina e hai la capacità sociale di un bradipo estinto.
Vi assicuro che la seconda immagine è quella che più ritrae il mio arrivo a Berlino. A Berlino sono stato 4 mesi poiché vincitore di una borsa di tirocinio del progetto di mobilità internazionale del Leonardo. Sono fra gli ultimi fortunati, poiché adesso tutti i progetti confluiscono nell’Erasmus Plus, ma vi assicuro che è stata un’esperienza fantastica, capace di farmi immergere nella cultura, in questo caso tedesca, non solo nella vita quotidiana di tutti i giorni, ma anche a lavoro. Il progetto prevedeva, infatti, lo svolgimento di un tirocinio presso strutture compatibili con la propria esperienza linguistica o lavorativa. La scelta del tirocinio (nel mio caso il ramo è stato educativo e ho lavorato con bambini di età compresa tra 1 e 3 anni), è affidata a un tutor. Si viene seguiti moltissimo un po’ per tutto, per la casa ad esempio, o anche per il percorso linguistico obbligatorio per le prime tre settimane. Il periodo sembra lungo, ma 16 settimane sono relativamente brevi e ogni giorno racchiude tante cose da fare.
Il tedesco, la lingua quindi, rientra nel tutto, in quell’insieme di cose da fare, sviluppare e migliorare che impegnano le tue giornate tra un errore e l’altro, una brutta figura e l’ironia e la voglia di scherzarci su. Ma non c’è solo ironia (accompagnata da una risata malefica), quanto la certezza che questo è un dato di fatto che più o meno hanno vissuto altri centinaia di ragazzi prima di me, quella esperienza demoralizzante e a tratti anche “lustig” che non mi ha comunque posto un freno. Il tedesco, anche se accademico, non si può dire che a un certo punto non faccia parte della propria vita. Si fa la tesi o meno in lingua tedesca, col tedesco si affronta un percorso, si scopre una lingua che ovviamente nel viverla diventa tutt’altra cosa. Ma lo studio e la linguistica diventano poi parte del proprio bagaglio di sapere. Magari in un modo del tutto soggettivo devono venire fuori. E lì è tutta una questione personale. La lingua può scoraggiare specie se come ancora di salvezza si cerca di aggrapparsi ad altre lingue che all’inizio sembrano aiutare e poi non se ne esce e ci si ritrova a parlare una specie di “italingledesco” che non avrebbe assolutamente nulla a che fare con “Umgangsprache” e quindi diminuisce il miracolo del “mi sono fatto capire!”
Eppure passano i giorni, passano le settimane, personalmente sento che l’approccio con la lingua cambia, o meglio MI cambia, mi rende una persona diversa. A tratti più (in)cosciente a lanciarmi anche se con qualche brutta figura. In particolare gli intercalari (oltre alle famosissime parolacce) li impari subito, un po’ come quando istintivamente impari a respirare. Diventano tue anche quando non ti servono. E allora inizia a sorriderti la vita, splende il sole, cammini cantando “I’ve got the power” come Jim Carrey in “Una settimana da Dio”, poi incontri una persona che ti chiede delle indicazioni stradali, le dai e soddisfatto ti volti per vedere il risultato del tuo bel “lavoro” e... e niente, la persona ha preso tutt’altra strada e ti tocca sgonfiarti un pochetto e ammettere che c’è ancora tanto da fare.
Studiare? Forse! Lo studio serve è importante, con lo studio si alimenta anche la ricerca, la lingua si evolve, diventa uno strumento utile anche a te. Ma poi? Eeeh poi c’è bisogno di ascoltare, parlare (anche e soprattutto sbagliando e di continuo) e leggere. Leggere tantissimo. A modo mio lo faccio. E mi riempie di soddisfazione l’idea che quanto leggo riesca poi a viverlo nella lingua parlata, sia essa a lavoro, in palestra, per strada, ovunque c’è bisogno della lingua. Ovunque c’è bisogno di parlare anche se con qualche errore. Ed è importante avere la base. E la base te la da lo studio. Ti fa entrare in un meccanismo in grado di renderti indipendente e pronto all’autocorrezione o alla scoperta di un modo, probabilmente tutto personale, per imparare e imparare bene.
Poi l’esperienza che fai all’estero e in un Paese come la Germania, nella sua capitale, Berlino, si colora non solo di sfaccettature linguistiche ma di gente, nuove persone da conoscere, qualcuna entra pure a far parte delle proprie amicizie, altre ti lasciano un bel ricordo.
E’ che serve quel pizzico in più. Quel sapore unico che né una lingua già impostata da secoli e secoli e cresce e si sviluppa nel tempo, né gente nuova né esperienze di lavoro o tirocini vari possono mettere. Quel sapore sei TU! E null’altro ti basta.
Nonna Cantone, nel celeberrimo film “Mine Vaganti” dice al nipote Tommaso: “Vai così, sbaglia sempre per conto tuo!”.
Allora sbagliate. E ovviamente imparate da questo. Imparate a correggervi. E imparate a lanciarvi, pur sempre con coscienza, a esperienze simili che consiglio e che, credetemi, gratificano molto. Sono certo che ne ricaverete solo grande soddisfazioni. E volendo qualche risata in più. E vi assicuro: quelle lontano casa, lontano dagli affetti, migliorano l’umore.
Tanto.
Buono studio.
Andrea
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